Andrea Giani: „Un grande giocatore non è automaticamente un grande allenatore“

Andrea Giani è una leggenda della pallavolo italiana. Da un paio di settimane è il ct della nazionale tedesca. Nel centro d’allenamento di Kienbaum in Brandenburgo abbiamo parlato del suo nuovo lavoro, di obiettivi, differenze tra Germania e Italia e tanto altro. L’intervista è stata pubblicata dal giornale „Der Tagesspiegel“ di Berlino in tedesco. Qua potete leggerla in italiano.

 

Andrea Giani, in Italia la pallavolo è uno degli sport più seguiti e Lei uno dei giocatori più vincenti della storia. Qua in Germania il volley non ha lo stesso status. Quali differenze ha notato in questo primo periodo qua e come si trova?

Mi trovo molto bene qua. In Italia la pallavolo è molto professionale, ma le strutture e l’organizzazione spesso non sono eccellenti. Qui invece l’organizzazione è incredibile. E pretendono che tu devi essere altrettanto professionale. Faccio un’esempio: Se facciamo un planning, già il giorno dopo si lavora su questo planning, mentre in Italia non è così. Ci vuole più tempo. Qua in Germania c’è un modo di lavorare diverso e questo mi aiuterà a spingere i miei limiti molto più in avanti.

Da ct della Slovenia è arrivato secondo agli Europei. Perché non ha rinnovato il Suo contratto e ha scelto la Germania?

Il presidente della federazione tedesca mi aveva scritto una mail che stavano cercando allenatore. Io avevo la possibilità di rinnovare con la Slovenia, dove ho fatto due anni molto buoni. Ma la Germania è un paese che ha grandissime potenzialità, nelle strutture, nelle risorse umane, nella professionalità, nel modo di lavorare. Per me è un discorso legato alla mia crescita. Voglio continuare a studiare, a migliorare per crescere nella mia professione.

E non lo poteva fare in Italia?

Nella prossima stagione allenerò la Milano. Ma i due anni in Slovenia mi hanno fatto capire che se ti vuoi sviluppare, se vuoi crescere devi uscire dal nostro paese. L’allenatore non è come il giocatore. Il ruolo è molto più complesso. Deve imparare tante cose. Lavorando in paesi diversi hai la possibilità di apprendere da altre culture modi diversi di lavorare, di stare in campo, di esprimersi. Questo per me è un progetto molto formativo.

Dopo poche settimane sono già arrivate le prime critiche per il trasferimento del giocatore della nazionale Ruben Schott da Berlino alla Sua nuova squadra Milano. Lei centra con questo trasferimento?

L’agente di Ruben mi aveva proposto Ruben via mail. È una cosa normale. Ho chiamato il mio manager a Milano e stabilito il contatto. Alla fine della stagione Ruben aveva diverse opzioni: Milano, Polonia, Francia. Voleva andare via dalla Bundesliga per crescere in un altro paese. È stato una scelta sua. Non ho niente da nascondere da Berlino e dal suo manager Kaweh Niroomand.

Come risponde alle accuse di Berlino che Lei abbia tratto vantaggio dalla Sua posizione di ct della nazionale? È che dice dell’affermazione di Niroomand che la prossima volta Le butterà fuori della Max-Schmeling-Halle? 

Sono deluso per quello che ha detto Kaweh. Capisco che lui è arrabbiato. Ruben era un giocatore molto importante per loro. Ho parlato tre volte con Kaweh negli ultimi tre mesi ed è stato sempre tranquillo. Per questo mi sembra strano che ora dice delle cose del genere. Spero che ci possiamo incontrare e risolvere i problemi.

 

Ovunque Lei allena, le aspettative sono sempre molto alte. Questa cosa Le da fastidio? 

Una volta che sei abituato a questa pressione non ci pensi più, è una cosa che fa parte di te. Ma la regola non è che un grande giocatore sarà automaticamente un grande allenatore. Nello sport devi mostrare ogni giorno il tuo valore. Quello che hai fatto prima non conta nulla. Fare l’allenatore è molto più complesso di fare il giocatore. Il giocatore usa i fondamentali della pallavolo mentre l’allenatore utilizza la sua esperienza, la conoscenza e, lo strumento più importante, la parola. Devi lavorare su te stesso, creare un modo di trasferire il tuo sapere. Devi lavorare a 360 gradi. Io alleno da dieci anni. Nei top club ci sono allenatori della mia stessa età che allenano da 30 anni. Ma è una bella sfida.

È più importante la qualificazione per i mondiali a maggio in Francia o l’europeo ad agosto in Polonia?

Sono entrambi molto importanti. Ma il mondiale lo dobbiamo assolutamente raggiungere. L’europeo è ancora un po‘ distante, per quello vediamo più in avanti. Ma nello sport si gioca sempre per vincere. Noi abbiamo un grande potenziale. Se diventiamo una squadra vera dobbiamo crederci. Ci sono sette, otto squadre molto forti, pero noi siamo tra queste. Quello con la nazionale è un percorso che prevede due vie. Uno sono i risultati e l’altro è la crescita del atleta ma anche della federazione e del movimento. Si lavora su più fronti. Noi pensiamo alle prossime partite perché i risultati sono fondamentali per far crescere la consapevolezza e la forza di una squadra.

Per i prossimi impegni mancano alcuni giocatori – per problemi fisici o scelta. Vede una mancanza di alternative in certi ruoli?

Sono molto contento della squadra. È questo che mi sorprende. Dietro c’è una base grande. Ci sono tanti buoni giocatori giovani in tutti i ruoli. Però dobbiamo creargli una strada quando escono dall’under 21. Se un giocatore mi dice che non puo venire in nazionale perché ha bisogno di tempo per studiare, dare degli esami o perché gioca all’estero e vuole stare con la sua famiglia, che gli devo dire. L’allenatore e la federazione devono trovare la strada migliori dove tutti, e soprattutto i giocatori, si sentano bene. Se tu gli sforzi non daranno mai il 100 percento. Qua per i giovani ci sono due strade. Scuola, università, lavoro da una parte e dall’altra parte lo sport, che nella cultura della pallavolo in questo paese è meno importante. E non è sbagliato.

Con Georg Grozer e Jochen Schöps sono tornati due giocatori fondamentali. Che potenziale ha questa nazionale? 

A livello di risultati questa è una nazionale di qualità. È arrivata terza al mondiale. Dal 2014 non c’è stata una continuità e noi dobbiamo essere bravi a crescere questo potenziale. Sono contento che sono tornati giocatori fondamentali. La cosa più importante è proporre un progetto che coinvolge tutti.

Ci spieghi la Sua filosofia da allenatore?

Ci sono regole e vanno rispettate. Ma non sto parlando di disciplina militare. Ognuno ha la sua vita privata ed è giusta che sia così anche quando si va dalla nazionale. Qua possono anche entrare le famiglie. Per me disciplina non è che non si può bere una birra o vedere la famiglia. Solo perché qua siamo con la nazionale la vita non deve essere diversa da quando si è con il club. La differenza è che quando indossiamo la maglia della nazionale rappresentiamo il paese, rappresentiamo 80 milioni di persone. La responsabilità è un pochettino diversa e la devi sentire. Deve essere un motivo di orgoglio per i giocatori e lo è per me. Un altro pilastro è la comunicazione.

Lei ancora non parla il tedesco. Come funziona la comunicazione con i giocatori? 

Parliamo in inglese. Il linguaggio specifico della pallavolo non è molto difficile. Ma io non sto parlando solo della comunicazione fra allenatore e giocatori ma della comunicazione all’interno della squadra. Perché durante la partita l’allenatore è fuori del campo e sono i giocatori che devono risolvere i problemi. Lo possono fare solo comunicando e condividendo il progetto.

E la Sua filosofia in campo?

Vogliamo proporre un gioco molto offensivo. Io credo che i giocatori più importanti sono i schiacciatori.

Lei ha giocato in tutti i ruoli. Questa versatilità le aiuta nel lavoro d’allenatore e la può trasmettere ai suoi giocatori?

Mi aiuta molto perché capisco di più i ruoli e i giocatori. Posso portare la mia esperienza. Io dico sempre che tutti i giocatori dividono dei fondamentali: Ricevono, attaccano, battono, murano, difendono. Non sempre un giocatore riesce a fare bene tutti i fondamentali, ma può giocare lo stesso, può compensare. Se io sono uno scacciatore e non sto attaccando bene, posso ricevere, battere, difendere, essere d’equilibrio. Questo per me è importante.

Negli ultimi mesi ha visto alcune partite della Bundesliga. Come giudica il campionato tedesco? 

C’é una grande differenza rispetto all’Italia. La Bundesliga non è un campionato di altissimo livello. Ci sono 14 squadre, di cui due molto professionistiche che sono Friedrichshafen e Berlino. Sotto ci sono sei squadre che hanno una discreta organizzazione. Le altre sono quasi amatoriali.

Questo secondo Lei è un limite per la nazionale? 

È sicuramente un limite, ma noi vogliamo portare all’interno dei club delle idee per strutturare queste squadre, per far diventare la Bundesliga un campionato di un livello più alto. Fino all’Under 21 ci sono tantissimi giocatori di grande qualità. Dobbiamo trovare delle soluzioni per fargli continuare a crescere.

Una restrizione di giocatori stranieri come in Italia potrebbe essere una soluzione? 

La restrizione è un fatto giuridico. Un dirigente della federazione mi ha detto che è difficile mettere delle regola del genere. In Italia abbiamo un accordo tra le società, che devono essere in campo tre italiani. Forse troviamo un simile accordo anche nella Bundesliga per un minimo di giocatori tedeschi nel roster. Ma tutto questo è un compito della federazione. Io do delle idee. Tutto il resto è politica. Io sono un tecnico.

 

Hier gibt es das Interview mit dem neuen Volleyball-Bundestrainer Andrea Giani über seine Ziele, die WM-Quali, seine Spielphilosophie und den Streit mit den BR Volleys um Ruben Schott auf Deutsch im Tagesspiegel. 

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